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martedì 10 giugno 2008

In una botte di ferro

Il buongiorno si vede dal mattino. Di Napoli, per di più. Una volta approvato, il testo del decreto-legge fiscale che cancella in un baleno l’ICI sull’abitazione principale è stato rapidamente secretato, per apparire in forma del tutto ufficiosa su qualche benevolo sito, a registrazione per fortuna gratuita. A disposizione dunque dell’assetato pubblico di operatori comunali, ancora frastornati dalle notizie trapelate negli ultimi giorni sul rimborso del minor gettito, ma non solo. A informare i contribuenti, infatti, ci aveva già pensato la stampa specializzata con schemi, tabelle e tutto il consueto apparato per spiegare in termini comprensibili ciò che vien fuori dalla seduta del CdM. Agli enti locali, malinconicamente, ora che è finalmente stato pubblicato nella raccolta ufficiale, non resta che constatare l’abbandono di qualsiasi velleità di autonomia fiscale. Infatti: a) l’addio all’imposta sulla casa di abitazione non costituisce, nel breve periodo una perdita netta di risorse correnti (l’attribuzione di un contributo a ristoro totale è prevista dal decreto, fatte salve le modalità per l’effettiva erogazione).
Ma scompare del tutto qualsiasi ipotesi di modulazione dell’imposta che tenga conto, ad esempio, di condizioni di reddito o sociali disagiate. Non solo: la cancellazione dell’intera imposta indipendentemente dal valore dell’immobile (tranne i poveri castellani che, si sa, penano a giungere alla terza settimana), significa la scomparsa di quella salutare dose di progressività che, a ben vedere, l’ICI portava con sé. L’utilità marginale del provvedimento, infatti, è massima per i possessori di un’unità classata A2 (abitazioni civili), mentre è quasi irrilevante per quelli di categoria A5 (case ultrapopolari). Non metterei di mezzo l’art. 53 della Costituzione, proponendo un’eccezione di illegittimità per violazione del principio di capacità contributiva. Tuttavia, credo si debba riflettere sulla qualità di un dispositivo che redistribuisce il costo dei servizi comunali più costosi a carico di chi dovrebbe pagarli di meno.
b) Il caveat più pericoloso, tuttavia, sta nel progressivo ridursi del gettito complessivo dei comuni. Quello dell’ICI, infatti, tende a crescere, a parità di aliquota, per effetto dello sviluppo di nuovi insediamenti produttivi e abitativi. D’altro canto, la certificazione presentata per dichiarare il minor gettito non pare destinata a ripetersi annualmente, benché la norma faccia riferimento al rimborso a decorrere dal 2008, stanziato le somme necessarie a integrazione dell’apposito capitolo del bilancio dello Stato. Il che non esclude la possibilità di nuove e più aggiornate certificazioni, ma contemporaneamente non le garantisce, potendosi limitare a fissare l’importo complessivo dello stanziamento, magari ridotto per esigenze di bilancio statale. Se l’impianto normativo ora illustrato dovesse essere confermato, la restituzione agli enti sarà in eterno fondata su un patrimonio immobiliare fermo all’estate del 2008.
Resta, infine, il problema dei tempi della restituzione del minor gettito. La possibilità che della rata in acconto non si veda un euro per la fine del prossimo giugno è, ahimè, altamente probabile. Il decreto fissa, infatti, un termine massimo di (addirittura) sessanta giorni dalla sua entrata in vigore per determinare (con apposito provvedimento del Viminale) le modalità e i tempi del ristoro. Francamente troppo per qualsiasi ente. Se tale termine ha un senso per gli anni 2009, 2010, ecc. ancora a distanza di sicurezza, ciò è manifestamente insufficiente per il 2008. La fretta di consegnare alla folla il cadavere dell’imposta ha prodotto un testo che, in breve, toglie con certezza ma restituisce con dubbi. L’ennesima edizione del nuovo corso dei rapporti tra enti locali ed erario. E le voci di rinvio del termine per il pagamento della prima rata possono rassicurare i contribuenti, poco o nulla gli uffici tributi.

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