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venerdì 8 febbraio 2008

Il guardiacaccia

Quando cominciano a mettersi in moto certi meccanismi, fermarli diventa realmente complicato. Nei mesi dell'avversione nei confronti di tutto ciò che sa di politica, il legislatore ha messo in cantiere una lista non esaustiva di norme (quasi tutte confluite nell'ultima Finanziaria) destinate a tamponare quella che sembra diventata un'emergenza nazionale, ben più del cumulo di spazzatura che ristagna nei pressi del Vesuvio. Il variegato elenco è perlopiù costituito da specchietti per le allodole, difficilmente traducibili in consistenti e duraturi contenimenti di spesa. Quelli passibili di efficacia, guardacaso, sembrerebbero essere quelli destinati a limitare una serie di costi a carico delle Amministrazioni locali, per i quali si sarebbe addirittura già quantificato l'impatto positivo sul bilancio consolidato della P.A. Ad esse, tuttavia, se ne aggiunge una che ambiguamente vincola pubblico e privato insieme, producendo effetti ancora non misurabili sull'economia nazionale. Si tratta dell'introduzione del divieto di clausole arbitrali per regolare le controversie in tema di appalti pubblici (beni e servizi nonché lavori). L'essenza dell'art. 3, cc. 19-23, L. 244/2007 è riassumibile in un rapido concetto: il privato è più efficiente del pubblico, ma costa di più. Sembra una contraddizione in termini, a prima vista. Contrapporre la naturale indole dell'imprenditore a stringere i cordoni della borsa per ottenere il miglior risultato possibile alla placida indifferenza dell'apparato burocratico a qualsiasi vincolo di spesa appare davvero azzardato. Eppure è ciò che si sostiene qui. Negli anni, si è calcolato, gli arbitrati decisi da professionisti delle contese contrattuali sono costati troppo. Tanto da far sospettare che dietro tale progressiva espansione ci fossero mire lucrative pure e semplici. E così, la spinta a eliminare questa pratica esosa è arrivata forte nientemeno che dall'ormai uscente ministro, il quale ha ritenuto, rimembrando il suo passato in toga nera, di poter affidare agli ex colleghi il compito di sostituirsi a costo zero ai collegi arbitrali pagati a peso d'oro. Eppure, qualcosa non torna. Se nessuno può tirarsi, in coscienza, indietro di fronte a iniziative che tentano di limitare lo sperpero di risorse pubbliche, è ugualmente vero che consegnare nelle mani dell'attuale sistema giudiziario l'intero pacchetto di controversie d'appalto è altrettanto antieconomico. Quanti anni servono, in media, per chiudere una causa civile? Non meno di cinque, stando a numerose e benemerite inchieste di stampa. E si vorrebbe sostenere che tale procedura è, nonostante ciò, a costo zero? Tra il nero dell'arbitrato selvaggio e il bianco di una magistratura che si occupa di contratti, le sfumature di grigio sono numerose. A partire da una più stringente disciplina che impedisca il formarsi di monopoli arbitrali e permettano un ricambio frequente dei professionisti autorizzati a svolgere quell'attività. Più trasparenza e meno clientele, insomma. Certo, qui c'è di mezzo persino la responsabilità erariale di chi non si cura del divieto, ma il rischio vero e tangibile è che gli investitori esteri rinuncino anzitempo a proporsi per appalti italiani, appena fiutino l'aria stagnante dei tribunali del Belpaese.

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